Guerra in Ucraina. Crisi delle materie prime agricole, prezzi in alto, conseguenze in evoluzione

ROMA – Tra rincari dell’energia e delle materie prime agricole mai toccati prima e incognite sull’approvvigionamento nel prossimo futuro, la guerra scatenata da Putin sta arrecando un colpo durissimo alle aziende agricole e alimentari italiane e dell’intera Ue, mettendo a rischio la tenuta di interi comparti.

Secondo le valutazioni del Parlamento Europeo si prevede che il conflitto scoppiato il 24 febbraio scorso avrà un impatto significativo sui mercati agricoli europei a causa dei tagli a lungo termine delle importazioni. Russia e Ucraina rappresentano oltre il 30% del commercio mondiale di grano, il 32% di orzo, il 17% di mais e oltre il 50% di oli, semi e farine di girasole. Una situazione che sta spingendo i leader europei a varare presto un piano d’azione per la sicurezza alimentare, anche modificando la Pac al fine di rispondere alla necessità di una maggiore autosufficienza su alcune commodity agricole oggi molto deficitarie.

Ad aumentare l’allarme anche le recenti decisioni da parte dell’Ungheria, fortunatamente ritornata sui propri passi dopo il colloquio tra Draghi e il presidente Orban, e dell’Argentina di bloccare le esportazioni rispettivamente di grano, mais e olio di semi per tutelare il mercato interno.

Molteplici negli ultimi giorni i gridi di allarme lanciati dalle associazioni di settore; tra tutti quello di Assalzoo Associazione nazionale tra i Produttori di Alimenti Zootecnici che denuncia una filiera zootecnica e mangimistica sull’orlo del collasso, con il mais  aumentato del 160% negli ultimi mesi di cui un 40% in più maturato dopo lo scoppio del conflitto e il rischio –  ha sottolineato l’associazione – di dover abbattere gli animali allevati, portando alla perdita di migliaia di posti di lavoro e minando  la sicurezza alimentare del Paese.

Anche l’industria molitoria, per via dei costi energetici quintuplicati rispetto a pochi mesi fa e la corsa senza fine delle quotazioni del frumento tenero, si dichiara allo stremo, come ha evidenziato una nota di Italmopa. Una situazione che ha rischiato di diventare ancora più drammatica se l’Ungheria non avesse ritirato lo stop alle esportazioni di grano tenero, mettendo di fatto l’Italia (dipendente per il 30% dalle forniture di grano ungherese) nell’impossibilità di produrre nell’immediato farina a sufficienza.

Ismea in un recente dossier (https://www.ismeamercati.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/12034) ha analizzato le dinamiche dei prezzi nazionali e internazionali delle principali materie prime e la situazione degli scambi globali, chiarendo come la guerra si sia inserita improvvisamente in uno scenario globale caratterizzato già da tempo da rincari record riconducibili a un insieme di fattori di natura congiunturale, strutturale, geopolitica e speculativa.

Cominciamo dal grano duro, dove i forti rincari che ci sono stati hanno poco a che vedere con i Paesi direttamente coinvolti dal conflitto o con i blocchi dei traffici mercantili che hanno interessato quella area. Nelle forniture globali di grano duro, sottolinea l’Ismea, il ruolo dei Russia  e Ucraina o dei Paesi rientranti geograficamente o politicamente nell’orbita russa è praticamente inesistente, essendo la produzione concentrata soprattutto in Europa, Canada, Usa, Turchia e Algeria. Il grano duro ha raggiunto in Italia il suo prezzo massimo a dicembre 2021, per scendere a febbraio a 501,48 euro/t, con un incremento comunque di oltre l’80% su febbraio del 2020.  In questo caso a pesare sull’instabilità dei mercati è stato soprattutto il vuoto d’offerta che si è creato dopo il crollo dei raccolti in Canada (-60%), principale esportatore mondiale e il calo di altri importanti Paesi produttori. Nonostante l’Italia sia il secondo produttore mondiale dopo il Canada, il fabbisogno dell’industria molitoria è molto elevato in ragione del forte export di pasta e viene soddisfatto per oltre la metà dalle forniture estere (provenienti principalmente dal Canada).

Differente è il caso del frumento tenero dove il mercato è fortemente influenzato da Russia e Ucraina che esprimono, rispettivamente, il 21% e il 10% delle esportazioni globali. L’impatto della guerra sui mercati è stato molto consistente, pur in un contesto di partenza non particolarmente critico nei fondamentali (produzione e stock mondiali in aumento del 2022). Dallo scorso 24 febbraio 2022, alla Borsa merci di Chicago, la quotazione del grano tenero in consegna a marzo ha mostrato una forte volatilità con rincari giornalieri molto marcati. Anche sulle principali piazze di scambio italiane sono stati raggiunti valori record:  312,98 euro/t lo scorso febbraio (+32% su febbraio 2021), anche se la quotazione più alta risale a prima della guerra ( 325,63 euro già a dicembre 2021) valore mai toccato prima nella serie storica di Ismea che parte da gennaio 1993. Le importazioni di frumento tenero dell’Italia sono molto elevate e rappresentano circa il 60% degli utilizzi interni della prima e seconda trasformazione, esponendo l’industria molitoria a un’elevata vulnerabilità. L’Italia importa in prevalenza dai partner comunitari, mentre dall’Ucraina proviene solo il 3% – 5% dei volumi acquistati oltre confine. Da segnalare invece che gran parte del grano tenero di provenienza russa e ucraina è indirizzato verso i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente,  gli stessi dove 12 anni fa la fiammata del prezzo del pane innescò la stagione di rivolte nota come “Primavera Araba”.

Per quanto riguarda il mais, l’Ucraina detiene un ruolo rilevante nel mercato mondiale, posizionandosi al quarto posto tra i principali Paesi esportatori con una quota del 15% delle forniture globali. Anche in questo caso il nervosismo dei mercati innescato dal conflitto si è inserito in un contesto di forte instabilità, dovuto sia dall’impennata della domanda cinese che detiene gran parte delle scorte globali di mais, sia ai rincari energetici e logistici che hanno accompagnato la ripartenza delle economie nel post Covid. Dallo scorso 24 febbraio 2022, alla Borsa merci di Chicago, la quotazione del mais in consegna a marzo ha mostrato oscillazioni giornaliere molto marcate, salendo tra lo scorso 24 febbraio e l’8 marzo 2022 di 32,21 euro/t. In Italia, in base alle rilevazioni dell’Ismea, i listini del mais hanno raggiunto a febbraio la quotazione record di 283,10 euro/t (+27% su febbraio 2021) valore, anche in questo caso, senza precedenti.

Le importazioni di mais dell’Italia sono molto elevate e rappresentano poco meno del 50% della domanda interna, di cui il 13% fornito dall’Ucraina, ponendo un effettivo problema di approvvigionamento dell’industria mangimistica, tale da prevedere la possibilità di derogare al divieto d’importare mais ogm prodotto negli Usa.

A suscitare infine molte preoccupazioni è il blocco delle esportazioni dei fertilizzanti da parte della Russia che ha la posizione di leadership mondiale, e da cui dipende l’agricoltura della Ue.

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