Parmesan, tribunale di Berlino condanna ditta tedesca

Primo clamoroso effetto della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità sul cosiddetto caso “Parmesan”. Dopo due anni di schermaglie legali e una sospensione del giudizio proprio in attesa della sentenza della Corte, il Tribunale di Berlino – sezione commerciale – ha condannato la società Allgäuland-Käsereien "ad astenersi dalla produzione, promozione, offerta e messa in commercio di formaggio con le denominazioni "parmigiano", "bioparmesan" e "parmesan" quando questo non sia prodotto all’interno della zona d’origine e secondo il disciplinare del Parmigiano-Reggiano.
Il pesante giudizio (in caso di violazione del divieto è prevista un’ammenda fino a 250.000 euro o, in subordine, una pena detentiva fino a due anni, con tali sanzioni estese a chi commercializza il prodotto con la denominazione illegittima) è venuto proprio a due mesi di distanza dalla sentenza (26 febbraio 2008) della Corte di Giustizia, che ha sancito che l’uso del termine “Parmesan” è proibito per qualsiasi formaggio che non sia Parmigiano-Reggiano.

La soddisfazione del Consorzio – "Questa del Tribunale di Berlino – sottolinea il presidente del Consorzio di tutela, Giuseppe Alai – è una sentenza importantissima, poiché rende concreti gli effetti dei principi affermati dalla sentenza della Corte di giustizia europea del 26 febbraio. Siamo dunque di fronte alla dimostrazione palese che quella sentenza è stata davvero un successo e non “una mezza vittoria”, come qualcuno ha sostenuto, in quanto il giudizio del Tribunale di Berlino corrisponde a quanto affermato dalla Corte di Giustizia ed è venuto solo dopo una sospensione in attesa del pronunciamento della Corte stessa”. “Pur in presenza di un regolamento UE sulla tutela delle Dop che va certamente reso più efficace – conclude Alai – quel che è certo è che la strada della tutela del nostro prodotto sui mercati europei si semplifica enormemente, giungendo a condanne che appaiono sostanzialmente obbligate a carico di chi imita o evoca il termine “Parmigiano-Reggiano”. Grande soddisfazione viene espressa anche dal direttore del Consorzio, Leo Bertozzi, che ha seguito personalmente la vicenda insieme allo studio “GB Avvocati” di Reggio Emilia. “Questa sentenza – sottolinea Bertozzi – dimostra che è possibile ottenere una tutela concreta se si lavora con tenacia e serietà, ed è un risultato che rafforza un ulteriore impegno a monitorare in modo continuo il mercato”. E qui Bertozzi lancia anche un invito ai consumatori e agli operatori: “chiediamo ci vengano segnalate le situazioni anomale riscontrate in Italia e all’estero, perché in questo modo potremo non solo tutelare ancor più efficacemente i consumatori, ma potremo garantire al mercato l’eliminazione di fenomeni distorsivi della concorrenza" 

I fatti dal 2006 – La vicenda in questione iniziò nel 2006, quando i corrispondenti e gli incaricati alla vigilanza da parte del Consorzio segnalarono la presenza di boccetti a forma di ampolla della ditta Allgäuland-Käsereien con formaggio grattugiato e anche porzioni di formaggio chiamato "parmesan", che ad una successiva analisi è risultato non avere nulla a che vedere con il Parmigiano-Reggiano (nel prodotto erano stati addirittura rilevati additivi – come il lisozoma – che è proibito per la produzione della Dop italiana). Nel novembre dello stesso anno, dopo inutili richiami all’azienda produttrice tedesca (le cui confezioni richiamavano anche il tricolore della bandiera italiana), il Consorzio di tutela ricorse alle vie legali in sede giudiziaria, avvalendosi anche della collaborazione dello studio berlinese Preu Bohlig & Prtners. Il tribunale, nella corso della prima udienza, decideva di attendere la sentenza della Corte di Giustizia europea, pubblicata il 26 febbraio 2008, nella quale veniva riaffermato che il termine parmesan va riservato in esclusiva al Parmigiano-Reggiano dop. Il 25 marzo il tribunale di Berlino celebrava l’udienza pubblica, nella quale il Consorzio compariva riaffermando le proprie ragioni, e proprio alla luce di quanto disposto dalla Corte di Giustizia europea e di sentenze precedenti (giugno 2002), il collegio giudicante ha ora condannato la ditta tedesca.

 

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