Paletti e norme locali: anche l’acquacoltura affoga nella burocrazia

Come per l’agricoltura, anche per il comparto dell’acquacoltura il nemico numero uno è la burocrazia. Esagerata, contradditoria, iper-sviluppata, oppressiva. E con effetti troppo facilmente intuibili. "Così frenano lo sviluppo delle aziende, in un segmento che è uno dei più vitali e strategici del settore primario", sentenzia Antonio Trincanato, direttore di Api, l’Associazione italiana Piscicoltori. L’allarme, lanciato alla vigilia di Acquacoltura Med 2009 – la conferenza internazionale su acquacoltura sostenibile e piscicoltura nel Mediterraneo, in programma a Veronafiere i prossimi 22 e 23 ottobre – è "un vero e proprio appello per rilanciare attraverso strumenti di snellimento burocratico un settore vitale per l’Italia, Paese fra i più avanzati al mondo per le tecniche di allevamento di molluschi e specie ittiche di mare e d’acqua dolce", prosegue Trincanato.

Numeri – I numeri relativi alla produzione dell’acquacoltura italiana sono decisamente importanti. Nel 2008, secondo i dati elaborati dall’Api, si è superata la soglia di 237mila tonnellate, per una valore di 607 milioni di euro. Una cifra che aggrega sia il segmento della produzione di molluschi (165mila tonnellate, pari a 262 milioni di euro) che di pesci (72.520 tonnellate, per un valore di 345 milioni di euro). Con questa forza ed una specializzazione sulle tecniche di allevamento che fanno dell’Italia una realtà leader per l’acquacoltura a livello comunitario, tanto da poter garantire costantemente nell’arco dell’anno una programmazione sulle produzioni a ciclo continuo («aspetto fondamentale, che si concretizza nell’assenza di sbalzi di prezzo nelle quotazioni delle diverse specie di prodotto offerto sul mercato", puntualizza Trincanato) a mettere in difficoltà i produttori ci pensano appunto le diverse normative e i diversi approcci all’impresa da parte di alcuni segmenti della burocrazia.

Troppa burocrazia – "Non possiamo lamentare l’assenza di risorse economiche per gli acquacoltori – analizza Trincanato – a partire dai contributi europei Fep e dall’attenzione con cui Mipaaf e Regioni guardano al settore nazionale. Tuttavia, assistiamo troppo spesso alla creazione di paletti a livello locale da parte di alcuni segmenti della burocrazia. E con una certa frequenza questi ostacoli derivano da una lettura non corretta o ingiustificatamente restrittiva delle norme ambientali". Basti pensare, come caso concreto, alle norme che regolano lo scarico degli impianti di acquacoltura. "Bisogna osservare prescrizioni come se si trattasse di impianti termonucleari", osserva paradossalmente Trincanato. Altrettanto pesanti i cavilli previsti per la fase meramente produttiva. "Non possiamo negare che alcuni impianti normativi, come quelli ad esempio legati alla sicurezza alimentare, per il fatto stesso di una profonda scrupolosità a conti fatti possono rivelarsi un vantaggio nel confronto con altri Paesi europei o extracomunitari – dichiara il direttore dell’Api – sempre però che sia rispettato il diritto di reciprocità. Talvolta, infatti, quando non vengono rispettate  su scala internazionale regole comuni di sicurezza alimentare e di sostenibilità sociale ed ambientale, i produttori italiani scontano una posizione di svantaggio. Per non parlare della tendenza degli ultimi anni che ha portato ad una forte crescita nella richiesta di carte, certificazioni, documenti. Oneri ingenti per le aziende, soprattutto per quelle di piccole dimensioni o a conduzione famigliare".

Trend di crescita – Il trend dell’acquacoltura è positivo, nonostante le difficoltà causate dalla crisi. Rispetto ad altre realtà del Mediterraneo, tuttavia, l’Italia sta meglio, garantisce Trincanato. "In Grecia, ad esempio, l’acquacoltura, seconda voce del settore primario dopo l’ulivo, sta scontando difficoltà maggiori. E questo per il fatto che negli anni Novanta c’è stato un boom dell’acquacoltura, agevolata a svilupparsi un po’ in tutte le isole grazie ai fondi comunitari. Negli anni Duemila, però, molti produttori dell’acquacoltura sono entrati in Borsa, configurando le proprie aziende con un assetto decisamente più speculativo – racconta Trincanato -. Ma l’essenza di questa attività è che servono, oltre alla tecnologia, acume, professionalità, ma soprattutto passione. Non ci si improvvisa acquacoltori da un giorno all’altro".

A Veronafiere – Delle prospettive dell’acquacoltura nel Mediterraneo, degli scenari di mercato e di consumo a livello internazionale, di sicurezza alimentare, distribuzione, tecniche di allevamento si parlerà, come anticipato, il 22 e 23 ottobre a Veronafiere, ad Acquacoltura Med. Partendo da un punto di forza certamente da non sottovalutare. Lo ricorda proprio Antonio Trincanato: "Nell’Unione europea un pesce consumato su due proviene dall’acquacoltura. Un obiettivo che la Fao prevedeva venisse raggiunto nel 2015".

 

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