La zootecnia del futuro: gli allevatori italiani nello scenario post quote

Quale sarà l’orientamento degli allevamenti nazionali nel post quote latte e quali le attese degli operatori in previsione di un mercato privo di strumenti di controllo dell’offerta e dei prezzi? Sono gli interrogativi di fondo che hanno ispirato l’indagine presentata oggi in occasione della decima edizione degli Stati Generali del latte, l’appuntamento clou della Fiera Internazionale del Bovino da Latte di Cremona.

Ricerca – La ricerca, realizzata da Ismea e commissionata da CremonaFiere, è stata condotta tra giugno e settembre con un’indagine presso un campione ragionato costituito da 239 allevatori del comparto latte vaccino ed integrata ad ottobre da una serie di interviste face to face a interlocutori privilegiati ed esperti del settore.  L’opinione prevalente è che, a seguito dello smantellamento del sistema delle quote latte, previsto dal primo aprile 2015, il livello della produzione nazionale non subirà sostanziali cambiamenti.  “Se da un lato, infatti – come ha spiegato il presidente dell’Ismea Arturo Semerari,  presentando i risultati dell’indagine – per alcune aziende si profilano scenari di crescita produttiva rispetto ai livelli attuali, dall’altro l’esistenza di numerose limitazioni, tra cui i vincoli ambientali, come la Direttiva nitrati, la ridotta disponibilità di terreni, il peso finanziario degli investimenti e una struttura dei costi troppo esposta alla volatilità, contrasta con lo scenario di un aumento della produzione. Alcune aziende, inoltre, sono destinate alla chiusura, principalmente per la mancanza di un ricambio generazionale e per questioni di inefficienza economica legata alle ridotte dimensioni e alla sfavorevole localizzazione geografica, con ricadute anche logistiche. Fenomeni che favoriranno quel fisiologico processo di concentrazione degli allevamenti bovini da latte in atto ormai da diversi anni.”
 
Produttività – Dall’indagine emerge che circa la metà delle imprese interpellate ha dichiarato che, anche dopo l’abolizione delle quote, manterrà inalterato il proprio livello produttivo. Un altro 23% pensa invece di aumentarlo, mentre una quota minoritaria di aziende paventa addirittura la chiusura o un ridimensionamento della produzione (si tratta negli ultimi due casi di realtà per lo più di piccole dimensioni e condotte da over 40). I timori legati alla liberalizzazione del mercato riguardano in prevalenza le chiusure aziendali e la riduzione dei prezzi del latte, per effetto soprattutto della pressione competitiva dei partner comunitari. A tal proposito si rileva che le previsioni a medio termine della Commissione europea indicano, nello scenario post 2015, una moderata tendenza all’aumento della produzione comunitaria di latte e derivati e una maggiore apertura verso i Paesi terzi, sotto la spinta della domanda soprattutto degli emergenti. Un altro elemento di preoccupazione che si desume dalle risposte degli intervistati è l’aggravarsi degli squilibri tra allevatori e controparte industriale e distributiva, con il rischio di fenomeni speculativi all’interno della filiera. “Uno scenario a cui il legislatore comunitario ha cercato di porre rimedio con le misure contenute nel cosiddetto Pacchetto latte – precisa Semerari – ma che gli intervistati affermano spesso di non conoscere, si tratta di ben 2 operatori su 5, o considerano inadeguate ai fini della tutela degli allevatori.”
 
No a stravolgimenti
– Quanto al giudizio degli esperti, emergono due principali considerazioni: la fine delle quote non determinerà grandi stravolgimenti negli assetti produttivi attuali, né a livello nazionale né comunitario, e l’eventuale maggiore disponibilità di latte nella Ue potrebbe, in situazioni di prezzi esteri più vantaggiosi, penalizzare la remunerazione delle stalle italiane. Tuttavia, affermano gli esperti, l’eventuale aumento dell’output da parte dei tradizionali produttori di latte (Germania, Francia, Olanda e Danimarca) non sarà, dopo il 2015, la diretta conseguenza della liberalizzazione del mercato, ma piuttosto l’effetto delle nuove opportunità di sbocco dettate dalla rapida crescita della domanda mondiale, che ha già causato un forte aumento dei prezzi sui mercati internazionali. 

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