Riso, Italia prima in Europa per produzione. Unico paese al mondo ad aver imposto una classificazione per varietà. Il 68% viene esportato, anche in Cina

MILANO EXPO – L’Italia produce il 50% del riso d’Europa, lo 0,38% della produzione mondiale.

Nel 2014 in Italia sono stati coltivati 219.532 ha di riso il 32% risi di risotto per consumo interno, 68% altri tipi di riso (tondo, medio, lungo A, lungo B) per un export, in Unione Europea del 56%, fuori dall’Unione Europea (12% compresa la Cina). La Spagna ne coltiva 105.000 ettari, 50% granello medio perlato (tipo Bomba) per consumo interno (paella), 50% lungo B per export.

Seguono la Francia con 12.000 ettari, 40% lungo A, 40% tondo, 20% lungo B (in riduzione), Portogallo 30.000 ettari, 50% lungo A (tipo Ribe), localmente chiamato «carolino», 50% lungo B, localmente chiamato «agulha», la Grecia 25.000 ettari, 50% lungo A (tipo Ribe), 25% lungo A (tipo Roma), 25% lungo B. Romania (15.000 ha), Bulgaria (12.000 ha), Ungheria (3.000 ha), Marocco (10.000 ha).

E’ quanto emerso dal confronto al Tavolo della democrazia della Fattoria Globale della WAA, World Association of Agronomists, ad Expo 2015 Milano durante l’approfondimento sulle Fattorie del riso, paesaggio e prodotto con cui è iniziato il viaggio degli agronomi mondiali nell’analisi delle fattorie in asia e Oceania introdotto dai consiglieri nazionali CONAF Corrado Fenu e Graziano Martello.

 «Il 91% della produzione mondiale di riso avviene in Asia – ha detto Giancarlo Quaglia, coordinatore del Centro studi CONAF, Consiglio dell’Ordine Nazionale dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali –  e per produrre 1kg di riso occorrono 1.700 lt di acqua. La produzione globale è costantemente aumentata negli ultimi trent’anni grazie alle migliori tecniche di coltivazione ma tale aumento non è riuscito a sopravanzare l’incremento demografico di alcune aree del pianeta. Per aumentare la produzione si è ricorsi ad un aumento delle aree coltivabili con un accaparramento di territori da parte di alcuni Stati per raggiungere la sovranità alimentare. Tale tendenza, tuttavia, corre il rischio di tradursi in perdita di biodiversità e dell’identità territoriale delle produzioni».

«L’Italia nel quadro della produzione mondiale di riso rappresenta un ‘unicum’ a livello mondiale – ha spiegato l’agronomo Massimo Biloni – E’ l’unico Paese, infatti, che con una legge – la 325 del 1958 – ha imposto una classificazione delle varietà e ha imposto l’obbligo della varietà sulla confezione suddividendole in quattro gruppi (comune o originario, semifino, fino, superfino in Europa Tondo, medio, lungo). L’Italia, per questo, – ha concluso Biloni- esprime una grandissima biodiversità come comparto risicolo unica al mondo»

Incroci con riso In Italia

La prima ibridazione artificiale risale al 1925 ed è avvenuta a Vercelli presso la Stazione Sperimentale di Risicoltura (ora C.R.A.). Nuove interessanti opportunità si svilupparono a partire da quella scoperta. Dopo aver scoperto l’ibridazione artificiale la Stazione Sperimentale di Risicoltura si occupò di formare i migliori agricoltori perché si adoperassero direttamente nello sviluppo varietale. Tra i primi agricoltori vi furono Marchetti, De Vecchi, Roncarolo, Maratelli, Ranghino, Ardizzone, Bersani, Rizzotto.

Varietà per tipo di granello

Nonostante l’ibridazione artificiale, il riso coltivato in Italia nel 1952 riguardava varietà introdotte dall’estero e solo poche varietà ottenute in loco. La distribuzione delle varietà per tipo di granello era la seguente: 66% granello tondo (comune), 12% granello medio (semifino), 22% granello lungo A (fino) con le varietà principali Chinese Originario (la maggior parte), Americano 1600, Balilla, Vialone, Maratelli, Rinaldo Bersani. Negli ultimi trent’anni la risicoltura italiana ha introdotto tre novità. La crescita dei risi Lunghi B per il Nord-Europa (dal 1988), la nascita delle varietà Clearfield (dal 2006 resistente ai vari tipi di diserbo), l’Introduzione dei risi ibridi e speciali (dal 2012).

Il ruolo degli agronomi

L’agronomo, nel comparto risicolo, ricopre il doppio ruolo di esperto patogeno e consulente per il miglioramento genetico nella valorizzazione della biodiversità. Per gli agricoltori ha l’obiettivo dell’aumento delle produzioni, della buona resa alla lavorazione e migliore qualità (miglior prezzo), la resistenza alle malattie, la tolleranza al freddo, l’adattabilità ai diversi terreni. Per i consumatori la qualità del granello, un uso più facile in cucina, la sicurezza alimentare, la sostenibilità ambientale, la riduzione dei prodotti chimici e la gestione del fattore climatico.

Gestione agronomica delle risaie

«Uno dei fattori più innovativi della gestione agronomica della risaie è senza dubbio l’aumento esponenziale della semina interrata – ha spiegato l’agronomo Maurizio Tabacchi – in grado di integrare e progressivamente sostituire la semina in sommersione. Nel 2004 in Italia gli ettari coltivati con il metodo interrato era di 35mila, il 15% della produzione; nel 2015 sono diventati 72mila ettari, il 33% della produzione nazionale. Questa tecnica – ha concluso Tabacchi – consente un uso più razionale della risorsa idrica anche se non la difende dagli sbalzi di temperatura tipici dell’Italia del nord che possono compromettere la produzione».

Le nuove sfide del futuro

Affinché il lavoro di miglioramento varietale abbia successo devono essere presi in considerazione obiettivi multi-disciplinari che possano soddisfare le necessità di coltivazione e le richieste del mercato come l’aumento delle produzioni, il superamento delle attuali barriere produttive, la resistenza alle malattie, l’aumento della tolleranza agli stress climatici. «Occorre quindi – ha concluso Tabacchi – un’attenzione su tutti gli aspetti della filiera, non esclusa la commercializzazione, che l’agronomo deve porre essendo il più qualificato per competenze professionali a farlo».

 

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