Ceta, Slow Food contro il ministro Bellanova. «Pieno dissenso, è libero mercato che porta a ribasso prezzi e qualità»

Quando sta per nascere un nuovo Governo, l’attenzione dei media per chi siederà al dicastero dell’Agricoltura, almeno in Italia, è davvero minima. La nascita del secondo Governo Conte non ha fatto eccezione, ma questa volta il velo di silenzio è stato squarciato proprio dalla neo ministra: pochi minuti dopo il suo giuramento, Teresa Bellanova consegnava alle agenzie una dichiarazione non di circostanza e, a nostra memoria, senza precedenti (per i tempi dell’uscita e per la sostanza del contenuto). Tant’è che abbiamo deciso di pubblicarla, integralmente e senza commenti, anche sul nostro sito, tentando così di dare una risposta a quanti ci stavano girando un interrogativo: «quale sarà la sua idea di agricoltura?».

Dopo quella prima uscita, nei pochi giorni trascorsi tra il giuramento davanti al Presidente della Repubblica e la fiducia definitiva del Senato di ieri sera, non sono mancate altre prese di posizione del Ministro che si stava insediando: dal caporalato alla xylella, dal biologico (a cavallo dello scorso weekend a Bologna si è svolto il SANA, la più grande fiera italiana del settore) al Ceta (l’accordo economico di libero scambio tra Canada ed Unione Europea), sino agli Ogm. E sono proprio le dichiarazioni rilasciate ieri mattina a Radio 24 su questi ultimi due temi ad aver accesso la discussione, sia in seno alla maggioranza che tra le organizzazioni di categoria e della società civile.

Cosa ha detto esattamente la ministra sul trattato di libero scambio tra Europa e Canada? «Il Ceta è in funzione e i risultati arrivano perché noi non dobbiamo temere la competizione. Dobbiamo lavorare tutti per smussare quegli angoli e per avere un rapporto con i dossier che sia sempre più ancorato al merito. Il nostro paese ha bisogno di mercati aperti e non ha bisogno di dazi. Il nostro paese ha bisogno di far riconoscere la qualità dei propri prodotti e ha bisogno di far arrivare i prodotti di qualità sui mercati che sono sempre più lontani ma che si possono permettere il costo dei made in Italy. Credo che su questo avremo la capacità di trovare una sintesi. Il mio obiettivo è quello di dare la possibilità al coltivatore diretto, all’imprenditore agricolo, di non essere assimilato a chi sfrutta il lavoro ma di avere una rimuneratività delle proprie produzioni in grado di rispettare quelli che io chiamo i costi del made in Italy, che sono rispetto del lavoro, rispetto previdenziale, rispetto dell’igiene, rispetto del buon produrre. Dobbiamo lavorare perché si arrivi alla ratifica del Ceta non con le tensioni ma con la consapevolezza che stiamo assumendo una responsabilità importante rispetto a un pezzo notevole di competitività del sistema Italia».

Parole abbastanza inequivocabili, sulle quali Slow Food non ha bisogno di attendere i prossimi passi della ministra per esprimersi: manifestiamo sin da ora il nostro dissenso, senza ovviamente sottrarci al confronto su temi che vengono portati dalla ministra a supporto della necessità di ratificare il Ceta. Anzi, è proprio per difendere quei valori che riteniamo non si debba procedere con la ratifica del Ceta. Perché oggi quegli accordi non chiedono ai nostri partner commerciali di alzare l’asticella delle loro produzioni e anzi ci costringono in una competizione internazionale la cui bussola continua a essere la sacralità del libero mercato, che altro non fa se non spingere al ribasso i prezzi, trascinando con sé di conseguenza un allentamento dei nostri più stringenti standard qualitativi.

Tra pochi giorni a Bra celebreremo la dodicesima edizione di Cheese, manifestazione internazionale dedicata al mondo dei formaggi di qualità che è la prova tangibile di come si possa costruire una diversa politica commerciale globale, addirittura vorremmo dire una “diplomazia agricola e alimentare” alternativa e contraria al Ceta, con risultati molto più efficaci. Grazie a Cheese e alla rete di Slow Food, negli anni abbiamo combattuto per difendere le produzioni a latte crudo negli Stati Uniti, in Australia, in Irlanda, anziché accontentarci di difendere l’export di qualche nostro prodotto di punta. Abbiamo favorito la rinascita di formaggi antichi e tradizionali nei Balcani, ricostruendo una rete di produttori e di comunità attraverso i quali si generano l’attenzione e la sensibilità per le produzioni di qualità in quelli che sono nuovi mercati. Abbiamo dato un contributo fondamentale al riconoscimento della Dop per un formaggio turco che innanzitutto è un Presidio Slow Food, portando come riferimento gli standard europei per un prodotto che prima del nostro intervento era illegale! E questo solo per citare gli episodi più eclatanti.

Sull’altro tema scottante, gli Ogm, la dichiarazione del Ministro è giunta in zona Cesarini (poco prima di entrare in galleria e appena con una battuta: «è un tema sul quale voglio aprire un confronto rapidamente anche con le parti imprenditoriali perché è tema delicato e anche qui da non affrontare in modo azzardato») e certamente fornisce meno elementi di riflessione (non si capisce nemmeno se il riferimento è ai “vecchi Ogm o alle Nbt”. Non di meno questa veloce battuta, associata alle affermazioni sul Ceta, ci fa correre un brivido sulla schiena.

Avremo presto occasione di confrontarci, attendiamo ila ministra Bellanova a Bra per inaugurare Cheese 2019 il prossimo 20 settembre: come con tutti i suoi predecessori, saremo ben lieti di mettere a disposizione la nostra esperienza.

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