Rotazioni. Il futuro potrebbe essere nelle leguminose secondo uno studio del CREA

ROMA – Diversificazione colturale e riduzione degli input esterni sono stati i capisaldi del progetto H2020 DIVERFARMING, appena concluso dopo 5 anni di attività. Il progetto, che ha coinvolto otto Paesi e di cui il CREA è stato il referente per l’Italia ed il Nord-Mediterraneo, ha avuto come obiettivo quello di costruire sistemi colturali diversificati e a bassi input chimici, in grado di garantire la resa delle colture, ridurre gli impatti ambientali e migliorare l’organizzazione dell’intera filiera produttiva. Nel dettaglio, in Italia i ricercatori del CREA – centri di Agricoltura e Ambiente, Cerealicoltura e Colture Industriali e Genomica e Bioinformatica -, in collaborazione con l’Università della Tuscia, il Consorzio Casalasco del Pomodoro e il Gruppo Barilla, hanno coinvolto gli attori chiave delle filiere di pomodoro, pasta e prodotti da forno, per definire le strategie di gestione maggiormente innovative e più adeguate da introdurre nelle aree pilota – Pianura Padana (Cremona, Mantova e Piacenza) e Capitanata (Foggia).

Ma cosa ne pensano gli agricoltori, i tecnici e le amministrazioni? Quali difficoltà hanno incontrato nell’adozione di prassi innovative? Per rispondere a tali domande è stata avviata una consultazione pubblica da parte del Crea, recentemente pubblicata sulla rivista Frontiers in Environmental Science.  La consultazione è stata effettuata nelle aree pilota italiane, indentificate quindi come casi studio rappresentativi dell’intero progetto per il Nord Mediterraneo, e ha visto in coinvolgimento di 50 intervistati, tra agricoltori (12), tecnici del settore operanti in ONG (4), ricercatori (10), agronomi del settore operanti nelle amministrazioni pubbliche (10) e consulenti privati (14), esperti dei sistemi colturali erbacei nelle aree irrigue e non irrigue.

I risultati. Il timore di perdere la redditività e la limitata formazione professionale di molti agricoltori sulla consociazione sono stati identificati come i problemi principali, mentre un punto di forza consiste nel fatto che le colture leguminose scelte come colture multiple da inserire nelle rotazioni di cereali e pomodori non sono solo adatte alle condizioni pedoclimatiche locali, ma sono anche ampiamente conosciuta dagli agricoltori. Inoltre, le pratiche di lavorazione minima – mantenendo la copertura delle colture, le rotazioni, l’applicazione di letame e il sovescio – sono risultate adeguate ed efficaci, senza aggravio di ulteriori costi, né di grandi investimenti in macchinari, né di agricoltori altamente qualificati. Occorre però rendere tali pratiche sempre più diffuse e condivise, integrandole strategicamente nelle politiche nazionali e impegnandosi sulla formazione degli agricoltori.

 

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