Gli agricoltori pagano le scelte sbagliate dell’Europa. Deborah Piovan: senza fitofarmaci e Tea sempre più dipendenti da importazioni

ROMA – Ultime settimane movimentate per l’agricoltura italiana ed europea. Proteste degli agricoltori, ma anche una marcia indietro, per ora parziale e provvisoria, da parte dell’Europa su temi come l’utilizzo dei fitofarmaci e un’apertura sulla nuove tecniche genomiche.

Ne abbiamo parlato con Deborah Piovan, imprenditrice agricola e divulgatrice.

Piovan, le proteste delle ultime settimane in Europa e in Italia, hanno portato l’agricoltura al centro dell’attenzione della politica e dei media. Qual è il suo punto di vista?

Queste proteste non mi sorprendono, perché l’agricoltura è in forte disagio, alcuni settori in particolare. Però mi preoccupa che la reazione ora possa essere quella di fare delle piccole concessioni, tanto per calmare chi protesta, quando invece ci sarebbe bisogno di una profonda revisione delle politiche agricole del continente. Ci servono strategie di lungo periodo sul sistema cibo. Dovremmo chiederci, insieme alla politica, dove vogliamo essere da qui a dieci anni come settore agroalimentare, quanto vogliamo dipendere dalle importazioni e per quali prodotti; su quali invece intendiamo puntare e su questi si dovrebbe investire nelle ricerca e nella produzione.

Quindi, tornando alle proteste, le capisco ma temo porteranno pannicelli caldi invece che ristrutturazione. Comunque non condivido nel merito alcune richieste: attaccare la carne sintetica o la farina di insetti non ha senso. La prima perché sono convinta avrà come consumatori, se mai verrà autorizzata, persone che oggi preferiscono non mangiare carne. La seconda perché è anch’essa una richiesta di una fetta del mercato che vede già coinvolte aziende agricole nella produzione e allevamento di insetti.

Su Green deal e Farm to fork, l’Europa ha fatto errori o sottovalutazioni?

Decisamente. Innanzi tutto non sono state fatte valutazioni di impatto dalla Commissione fino a ben dopo l’approvazione della Farm to fork. In grande ritardo, dato che altri, come lo USDA e la Wageningen University, avevano prontamente stimato l’impatto che tale Strategia avrebbe avuto sui produttori europei, sui consumatori e sui Paesi da cui importiamo. Era chiaro che la Farm to Fork avrebbe avuto conseguenze dirompenti in senso negativo.

Inoltre appare basata su un’impostazione ideologica, avendo scambiato il fine con i mezzi; altrimenti non si spiega l’obbligo di raggiungere il 25% di agricoltura biologica entro il 2030, a prescindere da ogni valutazione di impatto ambientale di questo metodo di produzione o di quello in convenzionale. E infine la riduzione dei fitofarmaci.

Infatti, negli ultimi giorni abbiamo assistito al dietrofront della Von der Leyen sulla riduzione dell’uso dei fitofarmaci e all’approvazione del regolamento Ngt (nuove tecniche genomiche) da parte del Parlamento europeo. Che cosa può cambiare?

Imporre la riduzione del 50% per l’uso di agrofarmaci, senza valutare le conseguenze di tale scelta avrebbe significato perdere interi settori produttivi. Questa proposta sembra essere stata ritirata nei giorni scorsi ed è un bene: gli europei si sarebbero dovuti sfamare ancora di più con merce di importazione, prodotta con altri standard e regole diverse; questo non rappresenta un problema in sé, ma espone ulteriormente la filiera alimentare alle oscillazioni di prezzi e disponibilità di derrate estere.

…e sul miglioramento genetico…

La notizia dell’approvazione della proposta di regolamento sulle NGT, o TEA, da parte del Parlamento Europeo è stata accolta con molto favore dagli agricoltori, anche se è perfettibile. Ci auguriamo che questo porti ad investimenti nella ricerca e ad una accelerazione nella messa a punto di piante che potranno aiutare ad affrontare le sfide di sostenibilità che il settore ha davanti.

Sappiamo che ci vorranno degli anni e che le TEA non possono fare tutto, ma potranno essere di grande aiuto sia nella riduzione di uso degli agrofarmaci, sia nell’affrontare situazioni climatiche più difficili. Non aspettiamoci di eliminare a breve gli agrofarmaci, comunque, ma ridurli grazie all’agricoltura di precisione e alla genetica di precisione sarà possibile.

Penso in particolare a piante resistenti a malattie fungine, perché siamo già a conoscenza di lavori scientifici in tale direzione. Il riso resistente al brusone messo a punto dal gruppo di lavoro coordinato dalla professoressa Vittoria Brambilla dell’Università Statale di Milano ne è un ottimo esempio. Attendiamo impazienti che venga autorizzato per le prove in campo.

Ma molto è stato già fatto anche in termini di miglioramento qualitativo delle piante coltivate, usando tecniche TEA. Si sta lavorando anche alla tolleranza alla siccità e addirittura, ma per questo ci vorrà del tempo, al miglioramento dell’efficienza fotosintetica.

Cosa manca all’agricoltura italiana per essere davvero competitiva in fatto di produzione, prezzi e costi di produzione?

L’agricoltura italiana ha bisogno urgente di venire sollevata da buona parte della pesante e talvolta ridicola burocrazia che la opprime: ha raggiunto livelli che umiliano gli agricoltori.

Serve poi rafforzare le filiere avendo cura di garantire un’equa distribuzione del valore aggiunto fra tutte le parti; questo oggi avviene troppo poco.

Infine gli agricoltori devono imparare il valore dell’aggregazione, che può aiutarli a contare di più nel gestire il proprio prodotto su un mercato che spesso li schiaccia, per evidenti motivi dimensionali.


 

Deborah Piovan – Agricoltrice. Divulgatrice. Autrice di “Agricoltura: femminile singolare. Donne che coltivano il futuro”, Ed. MPF. Presidente di Nogalba. Dirigente Confagricoltura.

 

 

 

 

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