Xylella in Salento. Da Italia Olivicola un Piano straordinario di riconversionee ristrutturazione degli oliveti

Italia Olivicola ha eseguito una ricognizione sulla situazione del settore olivicolo nelle tre province della penisola salentina colpite dal batterio della xylella, per verificare il danno economico arrecato alle aziende interessate e determinare l’entità potenziale della spesa necessaria a ripristinare la piena capacità produttiva degli oliveti irreversibilmente danneggiati. (Leggi la notizia)

Con questo documento si riportano i risultati del lavoro svolto e si formula una proposta di intervento indirizzata alle istituzioni nazionali (in particolare MIPAAFT) e a quelle regionali e locali, consistente essenzialmente nella introduzione di uno specifico regime di aiuto per il reimpianto di ulivi in sostituzione di quelli compromessi per effetto dell’infezione parassitaria.

Il piano non deve limitarsi al ripristino dello status quo in essere prima della diffusione dell’infezione parassitaria, ma si prefigge lo scopo di favorire l’evoluzione verso un sistema produttivo moderno, efficiente, competitivo, sostenibile economicamente e dal punto di vista ambientale, professionale e in grado di attirare giovani generazioni di agricoltori.

Alla base vi è la convinzione che sia necessario rivitalizzare nel più breve tempo possibile l’intera filiera olivicola delle zone interessate, perché altrimenti si verificherebbe un declino irreversibile del settore, con la perdita di posti di lavoro, di una coltura tipica del tessuto agricolo pugliese e di una filiera che può recitare un ruolo di primaria importanza nell’ambito dello scenario olivicolo globale.

In questi ultimi mesi c’è stata una maggiore sensibilità nei confronti del problema xylella e le istituzioni hanno manifestato la volontà di mettere in atto tutte le necessarie iniziative per contrastare l’emergenza sanitaria e per consentire al sistema olivicolo di poter guardare con fiducia verso il futuro.

L’auspicio è che tali segnali siano confermati dalle imminenti scelte politiche e che non intervenga alcun ripensamento rispetto a quanto sembra essere acquisito negli ultimi tempi. Anzi, si spera siano abbattute le ultime residenze culturali e politiche che hanno ostacolato la ricerca di una soluzione razionale, basata su solide conoscenze scientifiche e tecniche.

Oltre alle istituzioni italiane, il presente documento è rivolto anche all’Unione Europea, la quale ha il dovere di intervenire in modo diretto, immediato e massiccio per risolvere il grave problema che ha colpito il Salento. Altre volte le istituzioni comunitarie si sono mostrate sensibili e interessate a superare emergenze analoghe, anche con la mobilitazione di ingenti risorse finanziarie e con l’introduzione di norme di natura eccezionale e transitoria che non hanno mancato di risultare efficaci.

A tale proposito si ricordano le misure prese durante la crisi della “mucca pazza” (BSE), la quale ha generato una spesa del bilancio dell’Unione europea, quantificata dalla Corte dei Conti di Bruxelles, in 4,7 miliardi di euro, limitatamente agli esborsi sostenuti per le misure attivate dal 1996 al 2000. Di tale importo, il 43,7% è stato assorbito dal Regno Unito. Il costo indicato è parziale perché non considera gli stanziamenti che ci sono stati negli anni successivi al 2000 e non tiene conto delle risorse messe a disposizione dai singoli Stati membri.

Oltre al caso della BSE vi sono altre emergenze sanitarie affrontate dall’Unione europea allocando risorse del proprio bilancio. Si ricordano, ad esempio, i casi dell’influenza aviaria e della peste suina africana.

Italia Olivicola ritiene che si debba utilizzare lo stesso criterio (impegno diretto dell’Unione europea dal punto di vista finanziario e dell’indirizzo politico), anche per contrastare la diffusione della xylella, che ha ormai assunto una dimensione internazionale, essendo diffusa anche in altri Paesi membri.

Il danno economico per la mancata produzione Sono almeno tre anni che nelle aree colpite si registrano effetti in termini di minore produzione di olio. Ci sono delle zone nelle quali la filiera dell’olio di uliva ha praticamente cessato di funzionare, per effetto della massiccia diffusione della malattia che ha portato al disseccamento totale degli uliveti. In particolare, questo si verifica nella porzione del territorio della Provincia di Lecce orientata verso il Mar Ionio. In tali aree i frantoi restano chiusi da alcuni anni e in qualche caso gli impianti sono stati del tutto smantellati. L’inerzia delle istituzioni nel portare avanti un’azione di risanamento e rivitalizzazione del settore ha annientato la filiera produttiva ed ha affievolito, se non del tutto compromesso, le speranze degli agricoltori e degli altri operatori economici. Oramai, quasi nessuno crede si possa verificare una ripresa delle attività e tornare ai vecchi fasti di un tempo.

Italia Olivicola è dell’avviso che si debba reagire nella maniera più rapida possibile e metter in atto un piano straordinario di interventi che porti alla realizzazione di nuovi impianti produttivi che rispondano a canoni moderni e tali da rivitalizzare un settore economico che è sempre stato di fondamentale importanza per la società pugliese.

L’indagine che è stata eseguita, interpellando gli operatori del settore e consultando le più aggiornate fonti statistiche ufficiali, ha consentito di quantificare una perdita di produzione dell’olio di oliva nelle ultime tre campagne di commercializzazione per un importo di 390 milioni di euro nelle tre province del Salento dove la xylella è stata ad oggi rinvenuta. Questo dato si riferisce alla mancata produzione lorda vendibile da parte delle aziende agricole. Ove si prendessero in considerazione anche le attività economiche a valle (frantoi, impianti di imbottigliamento, commercio e distribuzione) arriveremmo ad un mancato giro di affari complessivo per circa un miliardo di euro nel triennio considerato.

È evidente che le condizioni dell’economia agroalimentare pugliese non sono tali da assorbire un contraccolpo così imponente. È necessario assolutamente rimettere in moto il sistema olivicolo per ricreare occasioni di lavoro e produzione di ricchezza diffuse per l’intero territorio interessato.

In base ai calcoli eseguiti, la produzione di olio di oliva delle province salentine nell’ultimo triennio sarebbe stata superiore in media di 29.000 tonnellate all’anno rispetto ai volumi che si sono effettivamente registrati.

Pertanto l’emergenza della xylella ha comportato una contrazione del 9,5% della produzione olivicola italiana.

I conteggi eseguiti si riferiscono al passato perché il danno economico è destinato a crescere negli anni a venire, per effetto della diffusione dell’emergenza sanitaria, sia nei territori già infetti, sia in quelli incolumi. A ciò si aggiunge un’altra insidia della quale tenere conto ed è la possibilità che operatori economici che finora hanno resistito, perché le loro attività sono state parzialmente colpite dagli effetti dell’emergenza fitosanitaria, possano decidere di abbandonare l’attività, stanchi di subire perdite ripetute, di affrontare sacrifici ingenti e di constatare impotenti l’inerzia da parte delle istituzioni.

Il piano di reimpianto degli ulivi Secondo il parere di Italia Olivicola non c’è alternativa ad un intervento straordinario per la realizzazione di nuovi impianti, in sostituzione di quelli che sono irrimediabilmente compromessi dalla infezione da xylella.

Serve un piano di riconversione di ristrutturazione, a modello di quello che da quasi un ventennio è in funzione per il settore del vino (di seguito alle tabelle); con l’aggiunta di due caratteristiche: l’emergenza e l’eccezionalità.

È necessario superare tutti gli ostacoli legislativi, tecnici e culturali. Ci si deve rendere conto che l’unica possibilità per conferire prospettive economiche durature e sostenibili ai territori interessati è quella di rilanciare il settore olivicolo, il quale peraltro storicamente rappresenta la principale attività agricola realizzata nelle province salentine. La coltura dell’olivo copre il 60% della superficie agricola a Lecce, il 58% a Brindisi ed il 27% a Taranto.

Solo un’olivicoltura forte, moderna, orientata al mercato, ad alto indice di meccanizzazione e di innovazione agronomica, sarà in grado di immettere sul mercato prodotti di qualità e a prezzi competitivi.

L’olio extra-vergine di oliva del Salento deve continuare a ricoprire il ruolo fondamentale che ha sempre avuto nell’ambito del sistema olivicolo italiano e per ottenere tale risultato occorrono visione, coraggio, determinazione e pragmatismo.

In base alle stime eseguite da Italia Olivicola sono 50.000 gli ettari di nuovi impianti olivicoli da realizzare, di cui 3.500 in Provincia di Taranto, 10.000 a Brindisi e 36.500 nella Provincia di Lecce, che come è stato evidenziato, è quella maggiormente martoriata dalla sindrome del disseccamento rapido degli ulivi.

Il costo dell’intero piano di investimenti si attesta sui 500 milioni di euro, comprendendo 400 milioni per la realizzazione dei nuovi impianti (preparazione del terreno, piantine, messa a dimora, cure agronomiche, formazione ecc.), cui si aggiungono 100 milioni di euro da erogare a favore degli olivicoltori e dei frantoiani come contributo di mancato reddito per le prime 4 annualità successive alla piantumazione. Per tale conteggio si è considerato un contributo annuo per ettaro di 500 euro.

Il piano di riconversione ristrutturazione dei vigneti  Si ritiene utile fornire qualche ulteriore dettaglio in relazione al regime di aiuto relativo alla misura della riconversione e della ristrutturazione dei vigneti, previsto nell’ambito dell’ocm unica (regolamento 1308/2013), la cui applicazione è disciplinata dal regolamento 2016/1149 e dal decreto Mipaaf 3 marzo 2017.

In particolare, ci si sofferma su alcune caratteristiche dell’intervento, la cui finalità è di fare evolvere il settore verso la modernizzazione e la competitività e sulla decisione del legislatore comunitario di includere tra le spese ammissibili al contributo pubblico anche quelle legate al mancato reddito.

Ecco di seguito alcuni elementi che contraddistinguono la misura:

 

1) Le azioni di ristrutturazione e riconversione ammesse sono le seguenti:

  1. la riconversione varietale e cioè il reimpianto, sullo stesso appezzamento o su un altro appezzamento, con o senza il cambio del sistema di allevamento, di una diversa varietà di vite, ritenuta di maggior pregio enologico e commerciale;
  2. Il sovrainnesto su impianti ritenuti già razionali per forma di allevamento e per sesto di impianto, e in buono stato vegetativo;
  3. La ristrutturazione con diversa collocazione (reimpianto del vigneto in una posizione più favorevole) o nella stessa particella ma con modifiche al sistema di coltivazione della vite;
  4. Il miglioramento delle tecniche di gestione dei vigneti che riguarda le operazioni inerenti la razionalizzazione degli interventi sul terreno, sulle forme di allevamento, etc.;
  5. Il reimpianto a seguito di estirpazione obbligatoria per motivi fitosanitari della stessa superficie, o di una superficie equivalente, oggetto di estirpazione obbligatoria su decisione del Servizio fitosanitario nazionale e regionale.

 

2) La dotazione finanziaria disponibile per attuare l’intervento ammonta in media, negli ultimi anni, a 140 milioni di euro, pari al 40% circa del budget disponibile per il piano nazionale di sostegno vitivinicolo (333 milioni di euro).

 

3) Ai fini della loro ammissibilità al sostegno gli interventi devono essere incrementali e migliorare le performance del vigneto. In particolare, le seguenti azioni non sono ammissibili (si veda il Working paper della Commissione Ue sui programmi nazionali di sostegno per il settore del vino):

  • Il normale rinnovo dei vigneti, il che significa il reimpianto della stessa particella di terreno con la stessa varietà di uva da vino secondo lo stesso sistema di coltivazione della vite, quando le viti sono arrivate alla fine del loro naturale vita.
  • La semplice sostituzione del vigneto e le operazioni di gestione quotidiana di un vigneto, ovvero le attività tecniche necessarie per la manutenzione del vigneto ed ogni altro intervento che non rappresenta un cambiamento strutturale. Questo perché lo scopo della misura è il miglioramento in termini di adeguamento alla domanda del mercato e di aumento della competitività.

 

4) Il mancato reddito è considerato come costo ammissibile al contributo pubblico ed è riconosciuto per un periodo di 4 anni. La determinazione dell’importo erogato è decisa dalla Regione. La Puglia nel 2018 ha deciso di fissare tale aiuto a 3.000 euro per ettaro e per anno.

La componente del mancato reddito è stata finora esplicitamente esclusa dal conteggio dei costi ammissibili nell’ambito della misura 5.2 del PSR 2014/2020 della Regione Puglia. Come noto, tale intervento di sostegno mira al ripristino del potenziale produttivo agricolo danneggiato da calamità naturali e da eventi catastrofici ed è stato attivato esclusivamente in relazione all’evento calamitoso derivante dalla diffusione di xylella fastidiosa.

 

 

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